L'approfondimento che voglio fare è
relativo al guardare avanti, cioè superare questi concetti e gettare uno
sguardo alla nuova era che, senza accorgercene, ci sta già investendo: l'era
della robotica.
Se vogliamo, è possibile
osservare la storia dell'uomo come un ciclo, dove appunto ciclicamente gli
eventi tendono a ripetersi seppur con connotati diversi. Questo per dire che se
a un certo punto si è rinnegato l’edificio come simbolo, nulla vieta che ciò
potrebbe accadere di nuovo. E quale occasione migliore della “quarta
rivoluzione industriale”? Come specie tendiamo a sottovalutare gli effetti che
questo tipo di cambiamenti hanno sulla nostra società, e quindi per vedere un
reale prodotto di questa nuova epoca potremmo dover attendere anche altri 100
anni. Al di là di questo, cosa davvero potremmo aspettarci? Mi piace immaginare
una fusione, tra l’epoca dell’informazione e quella industriale, in cui non
solo la funzionalità degli edifici (probabilmente macro-edifici vista l’incredibile
potenza produttiva di cui disporremmo) coesiste perfettamente con le
infrastrutture che li circondano, ma anzi questi due elementi entrano in
collisione, fondendosi e portandoci ad un primitivo pianeta-città, un'ecumenopoli di asimoviana
memoria. In questo contesto l’edificio non è più un simbolo, né un insieme di
ingranaggi, bensì è esso stesso un ingranaggio di un sistema molto molto più
grande, ma è anche, esprimendoci in termini informatici, una junction, un nodo
interconnesso agli altri, che tutti insieme formano un’enorme rete. Come può,
in questo contesto, trovare spazio un edificio inteso come simbolo di una
città, se il concetto di città cambia così radicalmente? Probabilmente questa è
una delle tante crisi che i nostri discendenti dovranno affrontare.